Racconto pubblicato nel dicembre 2016 sul sito “Sapore di Cina”.

In un’afosa giornata di metà agosto mia moglie Yan mi dice che nel primo pomeriggio sarebbe andata da una sua amica parrucchiera a tagliarsi i capelli e che appena finito sarebbe rientrata a casa per la cena.

“Cosa farai tutto solo nel pomeriggio?” – mi chiede curiosa.

“Nulla” – rispondo – “devo finire un lavoretto al pc, inviare delle email e poi penso di andare al parco a fare un giro”。

“Ah… così te ne vai al parco a vedere le donne” – ribatte con fare canzonatorio.

“No… non vado a vedere le donne… voglio solo deliziare i locali con la visione di un “laowai” dal vivo” – ribatto a mia volta scherzando.

“Mmmhhh… spero sia vero…” aggiunge Yan sorridendo.

Vivendo in una città dove gli stranieri sono pochi e frequentando solo ed esclusivamente persone di nazionalità cinese, mi ritrovo sempre, infatti, in posti dove i cosiddetti “laowai” non sono mai arrivati e, mi capita spessissimo, di diventare, indipendentemente dalla mia volontà, una vera e propria attrazione per gli abitanti del luogo.

Non sono rare le foto a mia insaputa, le foto fatte di nascosto e poi scoperte e che si concludono con un sorriso reciproco ed infine le foto esplicitamente richieste ed a cui ho sempre consentito con un po’ di imbarazzo misto a pavoneggiamento.

Non c’è differenza tra uomo o donna, chiunque sia in grado di parlare inglese (non immaginano che io possa parlare cinese) o, comunque, di comunicare con me, alla fine mi chiede sempre uno scatto insieme.

Così, appena dopo la pennichella pomeridiana, Yan si reca dalla sua amica ed io resto da solo in casa a completare alcune pratiche ed a comunicare via email con dei clienti.

Nel tardo pomeriggio ricevo un messaggio su “Wechat” in cui mia moglie mi dice che siamo invitati a cena dalla sua amica e che, se mi fa piacere, per le 18,45 devo essere ad una certa fermata nel distretto di Xiangzhou.
Lei sarebbe venuta a prendermi lì non appena avessero terminato con l’acconciatura.

Guardo l’ora e mancano poco più di 5 minuti alle 18,00.

“mmmhhh… se a quest’ora ancora non hanno finito, alle 18,45 alla fermata non ci sarà nessuno…” – penso mentre cerco un pantalone ed una maglietta puliti da indossare.

Alle 18,55 scendo dal bus e mia moglie non c’è ma si tratta di una breve attesa infatti, dopo poco, intravedo fra la folla Yan che mi viene incontro sorridente e contenta per il suo nuovo taglio di capelli.

“Ti piace?” – mi chiede.

“Ma se sei uguale a prima!” – rispondo sghignazzando mentre quasi contemporaneamente mi arriva un pizzicotto al braccio.

Fa un caldo insopportabile ma prima di recarci a cena dobbiamo acquistare della frutta come presente ed allora prego affinché il fruttivendolo non sia troppo distante dal luogo dove ceneremo.

Con circa 4 kg di frutta ci addentriamo in un labirinto di strade, complessi residenziali, viuzze e piazzette varie, districandoci tra macchine parcheggiate, enormi radici di alberi maestosi, dissuasori in calcestruzzo, marciapiedi scassati, pozzanghere, aiuole, biciclette, terra, e quant’altro.

Circondata da un lato da due grattacieli e per tre lati da palazzi di una decina di piani risalenti agli anni ’50-’60, un’enorme piazza brulicante di gente si apre ai miei occhi: donne e uomini, giovani e vecchi, chiacchiericci, grida, urla, insegne luminose, lampioni, fioriere e panchine, musica, negozi, bambini che si rincorrono ovunque, giocano, ridono, scherzano, saltano, persone che si rilassano, che giocano a carte o a 石子棋 (shiziqi, gioco con le pietre), che mangiano e bevono.

Il rumore del phon stride con quello dell’aria condizionata, ci sono tre clienti, odore di cosmetici e capelli dappertutto.

Lan mi sorride felice mentre mi presenta il marito Yun Chen che, impegnato con una delle clienti, mi saluta da lontano con un cenno della mano.

Mi accomodo su di una seggiola mentre loro lavorano e conversano (partecipa anche Yan) in una lingua che non capisco e che immagino debba prima o poi impararne almeno i primi rudimenti: il cantonese, secondo alcuni la lingua più difficile al mondo!

Manca un quarto alle 20,00, l’attività dei coniugi prosegue a pieno ritmo, Yan chatta con delle sue amiche ed io, non sapendo che altro fare, aspetto in silenzio guardandomi intorno fino al momento in cui ho bisogno di un bagno.

Mi vengono indicate delle scale strettissime oltre una tenda in fondo al negozio, scosto la tenda, salgo le scale e mi ritrovo in una piccolissima cucina abbastanza disordinata ma pulita con dei vassoi, accatastati l’uno sull’altro e colmi di cibo, in un angolo.

Individuo del pesce e della carne e penso che almeno la cena è già pronta anche se non vedo un tavolo e non riesco a capire dove mangeremo.

Dopo circa una ventina di minuti nel negozio continua ad esserci ancora gente, anzi ogni tanto arriva qualcuno, ma intuisco che qualcosa sta per accadere ed infatti Yun Chen sale di sopra, afferra i vassoi di cibo, aiutato da mia moglie, ed esce fuori dal negozio per poi rientrare subitaneamente a mani vuote.

Assisto incredulo alla scena mentre vedo volatilizzarsi quella che credevo fosse la nostra cena.

Mia moglie e la coppia di amici confabulano tra di loro in cantonese poi Lan si rivolge a me in mandarino e mi dice di andare, che potevamo cominciare, che era tardi ed io dovevo mangiare.

Non capisco, guardo mia moglie perplesso sperando di avere delle delucidazioni.

“Lan dice di iniziare a cenare che loro stanno lavorando ed appena possibile si uniranno a noi.”

“Ma no… no… li aspettiamo, ceniamo assieme” – rispondo mentre mi alzo dalla sedia e poi aggiungo a bassa voce ed in inglese “ma dov’è la cena?”

Yan, con un gesto della mano, mi indica un tavolino in mezzo alla piazza con 4 sgabelli attorno ed i vassoi che avevo visto di sopra mentre, nello stesso tempo, Lan ci “costringe” ad uscire fuori ed a sederci al tavolo.
“Ni he pijiu ma?” (bevi birra?) – mi chiede.

“Ma no… va bene il té o l’acqua” – rispondo mentre la figlioletta di circa 7 anni porta al tavolo 4 bottiglie grandi di birra ghiacciate.

Lan versa la birra, facciamo un brindisi e, suggerendoci di iniziare a mangiare, rientra in negozio per servire una cliente.

Rimaniamo da soli al tavolo con i piatti davanti, le bacchette in mano ed il mondo intorno.
Alzo lo sguardo ed un vecchietto che cammina trascinandosi una gamba si è fermato a guardarmi ponendo le mani su entrambi i fianchi.

Sorrido e lo saluto con un “Ni hao” (ciao), mi sorride e rivolgendosi a mia moglie chiede da dove vengo.
“Yidali” (Italia) – risponde Yan.

Mi scruta a fondo senza dire nulla, solleva una mano in segno di saluto, si volta e se ne va.

Ridiamo.

I padroni di casa alternano lavoro e cena e mai siedono al tavolo contemporaneamente.

L’andirivieni di clienti ci impone conversazioni frammentate, battute smorzate, discorsi talvolta lasciati cadere e rimasti incompleti.

Tra spizzichi e bocconi parliamo un po’ di tutto: attività, tasse, bambini, scuola, soldi, futuro, Italia, prima con Lan poi con Yun Chen poi ancora con Lan ed ancora con Yun Chen in una sorta di girotondo di persone e di parole.

E, come se non bastasse, ogni tanto arriva qualcuno (parenti, amici, vicini di casa? Non ne ho idea), si siede su uno dei due sgabelli lasciati liberi dai padroni di casa, scambia due frasi, mangia una o più ciotole di riso, e poi va via.

Il cibo è delizioso (Yun Chen mi spiega che da giovane faceva il cuoco ed in passato hanno anche avuto un ristorante), soprattutto il pesce, e faccio attenzione a lasciarne agli altri, invece la birra è tutta per me e quando penso che l’ultima bottiglia sia terminata Lan ritorna con altre 4 birre ghiacciate.

Attorno a noi è tutto un pullulare di persone: i bambini giocano ad inseguirsi e spesso rischiano di rovesciare il nostro tavolo, nel negozio accanto a quello dei nostri amici è appena scoppiata un’accesa discussione tra il proprietario ed una signora con un bambino e si forma immediatamente un capannello di gente, altre persone passeggiano godendosi il respiro della sera (fa sempre comunque un caldo bestiale), ed il viavai di clienti continua indifferente all’ora ormai tarda.

Ci intratteniamo ancora al tavolo nella speranza di riuscire a stare tutti e quattro insieme almeno per un po’ e proprio quando questo sembra riuscirci e la coppia sta per sedersi, arrivano ancora due clienti.

Sono circa le 23,30 ed i nostri amici non si sono mai fermati un momento ma c’è una spiegazione: il pomeriggio fa caldo e le persone preferiscono svolgere queste incombenze la sera con l’arrivo del fresco.

Ok, adesso tutto è più chiaro.

Ringraziamo per l’insolita serata e per l’ospitalità dimostrata (forse in nessun’altra parte del globo delle persone tanto impegnate avrebbero fatto un invito a cena) e li invito a mia volta nella nostra casa per una cena italiana.

Accettano volentieri per una data da definire.

Un ultimo saluto e proprio mentre mi volto per andar via, Zoey, la figlia, mi prende una mano e mi porge un foglio con una scritta: “Torna ancora.”

Sorrido, mi accovaccio e guardandola negli occhi le dico: ”Solo se cucinerai tu.”

Mi guarda ma non risponde allora la incalzo: “Non mi rispondi perché hai perso la lingua?”

Sorride, mi fa una linguaccia e scappa via!