27 dicembre 2024

Paris

Il materasso è duro e il letto ad una piazza e mezzo.
La stanza poco più grande del letto.
Rimane spazio ancora per un piccolo comodino ed un armadio ma c’è un bovindo molto carino che affaccia sulla strada vicina e sui grattacieli circostanti, quasi tutti più bassi del 26° piano dell’appartamento di Mimmo e Yanzi.


La strada, sotto casa, è a quattro corsie per ogni senso di marcia ma capita di vedere le auto incolonnate. Il rumore del traffico è costante. Nonostante tutto l’aria sembra respirabile.
Zhuhai è piena di parchi e pare sia una delle città più vivibili della Cina.
A letto siamo in due: io e il mal di schiena ma lui occupa tutto lo spazio e non mi fa dormire. Al mattino sono seriamente preoccupato. Yanzi avrebbe voluto portarmi in ospedale già ieri ma non mi sembrava il caso. Oggi inizio a pensarci seriamente.

Mimmo mi aveva detto di fare la barba prima di partire. Pare che i cinesi facciano fatica ad intuire l’età degli occidentali e considerino la barba bianca un segno dell’età che avanza.
I cinesi fanno fatica a distinguere gli occidentali, per loro siamo tutti uguali.
Capito? No, non hai capito se non sei stato già in Cina o se non ti ho ancora raccontato la storia di Kobe Bryant.
I cinesi non sanno esattamente dove sia l’Italia. Alcuni pare non sappiano che Venezia è in Italia. Sembra che addirittura non conoscano la forma a stivale caratteristica della nostra penisola. E se Roma fosse in Francia per loro non cambierebbe molto. I cinesi pensano che, dato che sei italiano, conosci l’inglese meglio di loro.
E se tu parli male l’inglese e loro non ti capiscono la colpa è loro. E se loro parlano troppo bene in inglese e tu non li capisci la colpa è loro.
I cinesi si emozionano quando ti parlano in inglese così che il loro inglese diventa meno “fluent” e più impacciato.

Non sono riuscito a fare la barba prima di partire e arrivo in Cina come un Babbo Natale suonato e privo di doni.

I cinesi mi guardano, ci guardano ancora di più quando siamo in due.
Se ne è accorto anche Mimmo che quando è in giro con me la gente ci osserva di più di quando è per strada da solo.
Forse perché due sono più di uno, forse perché il nostro passaggio è più lento e curioso rispetto a quando è solo, forse perché parliamo e ci muoviamo e riempiamo lo spazio che attraversiamo in maniera diversa da come fanno loro. Forse perché il nostro odore è diverso dal loro?

Questa mattina Mimmo mi prende in giro. Dice che sembro suo nonno. Ieri abbiamo fatto una foto insieme nel quartiere di Beishan e ha ripetuto più volte questa battuta.
La schiena mi fa male anche a stare a letto così decido di alzarmi.

“Forse stai male perché un anno fa è morta la mamma. O forse semplicemente perché hai fatto tante ore di volo e non sei abituato. O magari sei partito troppo stanco da Torino”.
“Può darsi”, gli rispondo, “ma un’altra causa potrebbe essere il bagaglio con i regali che è andato perduto”.

Lui replica che non ha senso una reazione del genere per due bottiglie di vino e tre litri d’olio ma c’erano anche i regalini, le scarpe, il maglione e, adesso che ci penso, anche una o due paia di pantaloni.

Squilla il telefono di Mimmo. Risponde, ascolta, sorride e mi fa il pollice in su.
Era in contatto con Yanzi per il mio mal di schiena. Ospedale o antinfiammatorio?
Tutto questo sorridere mi infastidisce.
Chiude la chiamata: hanno ritrovato il bagaglio. Pare fosse a Parigi.

Mi vesto e andiamo in farmacia a prendere un antinfiammatorio.

Il farmacista me ne dà due, uno occidentale, una compressa al dì, ed uno orientale, sei compresse al dì.
All’ingresso del loro residence c’è sempre una guardia.
La guardia di turno ferma Mimmo e gli chiede se sono suo padre. Lui risponde che sono il nonno. Il tipo non fa una smorfia, mi sorride contento e mi fa gesti di incoraggiamento.

Yeye: nonno paterno (i cinesi hanno nomi differenti per i nonni a seconda che siano di parte di madre o di padre).

Inizio dalla compressa occidentale e vado a letto.
Un’ora dopo mi alzo e il mal di schiena è scomparso.
Scomparso.
Non ho più male alla schiena!

Usciamo, andiamo in banca e poi a mangiare qualcosa.
Prendiamo una specie di focaccia con verdure, per strada, e poi ci fermiamo in una sorta di panetteria con dei tavolini.
Io prendo un pastéis de belém, tipico del Portogallo (siamo a due passi da Macao e l’influenza portoghese arriva fin qui), Mimmo un dolce, poco dolce, con un wurstel dolce, non troppo dolce.
Insomma qui ti infilano la carne anche nei dolci.

La ragazza al bancone chiede da dove veniamo. Mimmo le risponde che siamo italiani, lui vive a Zhuhai ed io sono il suo yeye che è venuto a trovarlo. La ragazza ride di gusto.

Decidiamo di fare un salto al mare.
La spiaggia è lunga e con una sabbia fine e pulita. La ricordavo più o meno così. C’è tanta gente ma nessuno fa il bagno.
L’acqua la ricordavo tendente al rosso e invece è grigia, e si intuisce il giallo della sabbia a poca profondità. Non vedo conchiglie.
Facciamo un giro e ci sediamo su una panchina.

“Esattamente un anno fa, a quest’ora, ero qui” dice Mimmo.
Era il 27 dicembre. Io in quel momento ero dall’altra parte del globo, in chiesa, al funerale della mamma. Lui aveva deciso di farsi un suo funerale personale negli stessi momenti, lì, a guardare la cosa che probabilmente ci teneva idealmente più vicini, il mare.
Il cielo ci avvicina e ci allontana ma il mare ci unisce.

Torniamo a casa.
Il tempo di fare uno scherzo a Yanzi facendole credere che non riesco ad alzarmi dalla poltrona e facendomi trascinare per la stanza da lei e Mimmo che mi tengono da sotto le ascelle, una breve lezione di cinese, un po’ di risate con i racconti dello yeye ed è ora di cena.

Vado a letto un po’ più tardi con un quaderno sul quale ho iniziato ad appuntare un po’ di parole in cinese, che mi potrebbero essere utili. Domani o domenica vediamo Coco e Long, la sorella di Yanzi e suo marito.

Devo assolutamente imparare il cinese prima di rivederli.