3 gennaio 2025

E sono 10 anni

Oggi è il giorno della foresta di pietra. Una delle attrazioni turistiche più importanti della zona. Sono eccitato da questa gita perché, oltre a visitare un luogo unico al mondo e patrimonio dell’UNESCO, mi immergerò un po’ di più nella quotidianità delle persone del posto.


Certo è sempre una situazione protetta la mia perché ho due guardie del corpo che non mi perdono mai di vista.
Per raggiungere la città di Shilin, 140 km a sud di Kunming, prendiamo la metro e due pullman. Il viaggio in pullman è la cosa che più mi incuriosisce.

Raggiungiamo la stazione degli autobus in metro, ormai padroneggiamo la metro di Kunming e ci muoviamo con disinvoltura. L’ingresso nella metro è sottoposto a controlli come in aeroporto ma un po’ più laschi. In aeroporto, tutti i viaggiatori in partenza, vengono sottoposti a controlli antiesplosivo accurati da parte degli addetti, con scanner manuali che vengono infilati anche nelle pieghe dei pantaloni.
In metro ti fanno passare solo le borse nel nastro trasportatore ma non ti fanno togliere cappotti, cellulari e tutto il resto, quindi il metal detector suona immancabilmente per tutti e c’è sempre qualcuno che fa finta di controllarti con lo scanner manuale ma è un controllo rapido e svogliato.

La stazione dei bus è in periferia e mostra già una Cina più rustica. Non ci sono controlli. Non ci sono turisti, a parte noi. Siamo subito fuori dalla metropoli e ci immergiamo nella natura. Ci muoviamo tra campi coltivati e cittadine con palazzoni che spiccano in mezzo a case basse. L’ambiente è molto diverso dai dintorni di Zhuhai dove l’abbondanza di acqua favorisce evidentemente una antropizzazione più spinta.
Qui l’agricoltura sembra l’attività prevalente.
Andiamo verso le montagne. L’uomo cede spazio alla natura non appena i versanti iniziano a farsi impervi, ma se lo riprende ogni volta che gli è possibile.
Man mano che ci avviciniamo a Shilin la terra si fa rossa e mi ricorda il Salento.

Sul pullman il signore accanto a me gioca con una specie di collana di grossi semi e produce un suono armonioso anche se probabilmente, il suo, è un tic.
Mi addormento ma le urla del conducente mi svegliano. Cambiamo mezzo e arriviamo a destinazione dopo pochi minuti.

La foresta di pietra si può visitare in un paio d’ore se si ha fretta, ma ci si potrebbe trattenere tranquillamente tutta la giornata, alla ricerca degli angoli più belli e nascosti dove la natura si è divertita a scolpire il calcare.
C’è gente e le prime foto riprendono più umani che rocce ma basta infilarsi su per qualche sentiero un po’ più stretto che ci si allontana dalla folla. A quel punto gli umani devi cercarli in modo che ti facciano da scala, nella foto, per permettere, a chi la guarderà, di capire le dimensioni ed il valore dell’artista scultore.

Dal punto in cui facciamo i biglietti all’ingresso dell’area ci sono circa tre chilometri e li percorriamo su un trenino, per guadagnare tempo e preservare le energie. Siamo usciti tardi questa mattina, ieri eravamo stanchi e abbiamo preferito fare con comodo ma, a causa della fretta, non abbiamo fatto colazione ed è già ora di pranzo. Per fortuna Yanzi ha portato da Zhuhai un paio di paninetti fatti da lei.

Lungo il tragitto dalla biglietteria all’ingresso del sito attraversiamo un grande piazzale in cui sono parcheggiati decine e decine di trenini simili, un indizio della quantità di gente che può riversarsi in questo luogo nei periodi di vacanza come il prossimo capodanno cinese.

C’è un piccolo bazar prima dell’ingresso e una ragazza ci fa assaggiare un pezzo minuscolo di formaggio. Sembra buono anche se un po’ dolce. Sembra più che altro un miraggio.
Avevo letto che in questa zona si produce un formaggio di capra ma non l’avevamo ancora visto.
Il formaggio è in vendita in confezioni di plastica, con dentro tanti pezzetti di formaggio a loro volta conservati in piccole confezioni di plastica, come se fossero caramelle. Ma qui è tutto venduto in confezioni monouso. Anche i limoni e la frutta in generale, i biscotti, certe palline di the.

È difficile immaginare un’esistenza senza pane, taralli, salatini, frise, formaggi, salumi, patate…

Le patate! Dove sono le patate? Solo patate dolci per i dolci non dolci ho visto fino ad ora.
Mimmo dice che sono cibo da strada e non le trovi nei ristoranti.

Sul pullman del ritorno capito a fianco ad una ragazza molto giovane. Mentre mi siedo e le rivolgo un timido “Nihao” lei non sembra accorgersi di me. La testa è rivolta verso il finestrino anche se le tende sono chiuse. Scrive al cellulare.
Noto che scrive su una tastiera con le lettere dell’alfabeto latino ma poi quello che scrive si trasforma in ideogrammi.
La stanchezza per la camminata, la fame e le tende chiuse conciliano il sonno.
Mimmo e Yanzi, dietro di me, dormono già. Attorno a noi gente che tossisce, starnutisce e schiarisce la voce. Molti in Cina hanno la mascherina. Noi no anche se Yanzi ne ha prese alcune con sé.
Mi chiedo se siamo eroi o coglioni, poi mi addormento.

Mi sveglio, forse per un presentimento, e vedo la ragazza a fianco a me che mi sta facendo una foto. Ha il cellulare sulle gambe in modo tale da fare la foto senza guardare nell’inquadratura e, infatti, la foto, che intravedo con la coda dell’occhio, mostra il mio maglione rosso più che il viso.
Vorrei dirle che, se vuole, mi posso mettere in posa ma non vorrei imbarazzarla.
Non è la prima foto della giornata. Ne ho fatte un paio con dei signori che ci hanno fermati per chiederci di posare con loro durante la visita alla foresta di pietra e Mimmo mi ha detto che ha notato qualcuno che lo fotografava da lontano.

Oggi è il 3 gennaio. Dieci anni fa, il 3 gennaio del 2014, diventai ufficialmente vegetariano. Dopo pranzo però, perché a pranzo eravamo a Taranto per i compleanni concomitanti di Maria ed Ilaria e non volevo fare a meno di un’ultima parmigiana di melanzane e delle polpette della zia Teresa.
Ma in realtà non avevo più mangiato pesce e simili dal mio ritorno dalla Cina. E quando a cena con Long e Coco ho mangiato il mio primo gambero dopo 10 anni ho pensato che era stato proprio Long a infilarmi nel piatto quell’ultimo gambero e non solo.

Alla cena del matrimonio di Mimmo e Yanzi, Long, che era seduto alla mia sinistra, si era premurato, per tutto il tempo, di farmi assaggiare tutto ciò che arrivava, al tavolo rotondo, dalla cucina.
Il giorno successivo avevo scritto questo:

“Mangia, mangia, mangia…
Questo a fianco a me è instancabile. Sembra il più anziano di tutti ma forse ha pochi anni più di me…

Appena arriva un piatto nuovo, e ne arrivano, ne ho contati almeno… ho perso il conto ma ho fatto le foto di tutti, o quasi.
Insomma appena arriva un piatto nuovo fanno girare la ruota e lo mettono davanti a me.
Io faccio la foto e lui non perde tempo e mi infila subito un pezzo nella coppetta.
No, quello proprio non lo voglio gra… Scièsciè e me l’ha pure rigirato nella salsa giapponese.
Tocca mangiarlo, resto senza fiato, chissà quanto durerà. Scariche elettriche.
Comunque non è piccante. Il piccante ti brucia e ti lascia la bocca bruciata per ore, a volte per giorni.
Questo, se sopravvivi, poi, scompare.
Il tipo è veramente una macchinetta, non perde un colpo. Appena vuoto la coppetta lui ci infila dentro qualcosa.”

La salsa giapponese era il wasabi che vedevo per la prima volta e avevo pensato di morire quando avevo infilato in bocca un pezzo di un enorme mollusco che Long aveva rigirato nella mia coppetta personale prima che io lo mangiassi.

Il pasto migliore, fino ad ora, lo consumiamo in un ristorante scelto per caso, vicino l’hotel. Finalmente le melanzane come piacciono a me e senza pezzi di pesce. Poi funghi, tofu, spaghetti in brodo (si, ancora spaghetti) e riso.

Stiamo per salutare Kunming. Domani si parte per Lijiang, tra i monti.

Di Kunming ricorderò i fattorini, le moto, le persone, le bancarelle, i ristoranti.
Gli “xiang hua bing”, dolci ripieni di petali di rose.

Ricorderò le luci.

Ricorderò il rumore e quel taratarà taratarà in particolare.

Prima di andare a letto Mimmo passa dalla mia camera e mi suggerisce di chiudere la finestra, se non voglio passare un’altra notte con il trillo incessante del semaforo nelle orecchie.