7 gennaio 2025
Elefanti nani
“Ci vediamo domattina alle 10, andiamo al mercato dei fiori, torniamo in hotel, lasciamo la camera, mangiamo qualcosa e ci avviamo in aeroporto in modo da essere lì per le 17”.
Mi sembra un po’ presto, ricordavo che saremmo arrivati a Zhuhai nella notte.
“A che ora è il volo?”, chiedo
“Alle 19”.
“Ok, a domani, notte”.
Durante il Pleistocene superiore, attraverso un ponte di terra che univa la Sicilia alla Calabria, un gruppo di elefanti oltrepassò lo stretto di Messina e si stabilì sull’isola. Alla fine della glaciazione la Sicilia, però, restò isolata dal continente e gli elefanti, assieme ad altre specie, persero il contatto con gli altri loro simili e iniziarono ad evolversi in maniera autonoma.
Per questo motivo si sviluppò, in Sicilia, una nuova specie di elefanti, più in grado di sopravvivere nelle condizioni ambientali presenti sull’isola.
La caratteristica di questi elefanti era la statura bassa, più utile a sopravvivere sull’isola.
Anche questa notte dormo male. Mi sveglio in preda a cattivi pensieri e non riesco più ad addormentarmi. Mi viene un mal di testa strano, alla parte sinistra della testa, che scende fino al collo e non passa per tutto il giorno.
Non voglio morire come la mamma. Se dovesse capitarmi qualcosa di simile a quello che è successo a lei voglio che si stacchi la spina non appena mi capiterà di non essere più in grado di esprimere i miei desideri.
Non voglio vivere in uno stato fondamentalista religioso in cui, se lancio bombe che ammazzano migliaia di persone Dio non può far nulla perché esiste il libero arbitro, ma se voglio staccare la spina ad una persona incosciente, che vive da anni attaccata a fili, tramite i quali mangia, beve, sputa, piscia, respira, prende le medicine e soffre, allora lo stato mi prende in ostaggio in nome di Dio ed il libero arbitro non esiste più.
Non voglio vivere in uno stato in cui un embrione è sacro mentre una barca in avaria in mezzo al mare con centinaia di vite umane a bordo è normale che non si vada a soccorrerla.
Per distrarmi mi metto a pensare alle tante similitudini tra i suoni delle parole cinesi e quelli della nostra lingua o dei dialetti che conosco.
“Questo”, in cinese suona “gghreche” un po’ come in Salento chiamiamo la birra Dreher.
Finalmente mi addormento ma mi sveglio che sono già le 10.30, in preda ad una stanchezza infinita che non sentivo da tempo e che mi accompagnerà per tutto il giorno. Sono in ritardo all’appuntamento.
Dobbiamo essere in aeroporto alle 17, il volo è alle 19.
Mio fratello e mia cognata mi ricordano gli elefanti nani della Sicilia. Spero non se la prenderanno a male quando leggeranno e provo a spiegare il motivo.
Anche loro, come gli elefanti, vivono una sorta di isolamento. Non si tratta di una distanza fisica dal resto degli umani, con i quali in realtà comunicano regolarmente, ma di una separazione dal punto di vista intellettivo.
Le condizioni avverse sono rappresentate dalle difficoltà nel comprendersi, non solo a causa della lingua ma anche per le diverse culture di provenienza.
La risposta a queste difficoltà è un rapporto fatto di comportamenti e, soprattutto, di un linguaggio, nuovi.
In realtà siamo tutti un po’ degli elefanti nani in ogni rapporto che instauriamo ma loro lo sono molto di più.
In particolare nella lingua, che è uno slang tutto nuovo.
Se davvero dovessero restare isolati, anche fisicamente, dal resto dei sapiens darebbero vita ad una nuova lingua, con neologismi inventati di sana pianta, e i loro discendenti perpetrerebbero questo loro lavoro.
“Buon appetito” suona “a we co” come quando a Mesagne chiamano Cosimo, cioè, Coco, cioè Co.
Cambio di programma: usciamo alle 11.00, lasciamo le camere, lasciamo i bagagli in hotel, andiamo al mercato dei fiori, torniamo, facciamo pranzo e poi andiamo in aeroporto in modo da essere lì per le 17.
Il volo è alle 19.
A modo loro Mimmo e Yanzi parlano, discutono, ridono, scherzano, litigano e fanno pace. Come tutte le coppie del mondo. L’unica differenza, ai miei occhi, è la velocità nel fare pace, frutto a mio avviso, di quello che io chiamo “il beneficio del dubbio”.
È una relazione basata sul “beneficio dei dubbio” e, fino ad ora, ha funzionato.
Dovremmo prendere tutti esempio e loro dovrebbero tenere corsi.
La regola base è: “devo avere frainteso, non voleva dire quello che ha detto, è una incomprensione legata alle nostre culture differenti e alle difficoltà sue di esprimersi e/o mie di comprendere”.
“Cinque volte” suona “u zz” come quando vuoi chiamare “lo zio” a Taranto.
Ecco, questa regola dovrebbe essere adottata da tutti, in ogni tipo di relazione, indipendentemente dal fatto che si parlino lingue diverse e che si provenga, o no, dall’altra parte del mondo.
Perché proveniamo tutti da mondi diversi.
“Yanzi” suona “ienzi” come il niente salentino ma senza la n iniziale.
Il mercato dei fiori un po’ ci delude, ce lo aspettavamo più grande. Ma è anche vero che non abbiamo il tempo di visitare tutto con calma. Trascorriamo un paio d’ore in un capannone e poi andiamo via senza avere il tempo di visitare eventuali altri capannoni.
Sono le 14 e abbiamo bisogno di un’ora per tornare nella zona dell’hotel, in metro.
Dobbiamo essere in aeroporto per le 17 e dobbiamo recuperare i bagagli e mangiare qualcosa.
Il volo è alle 19.
“Cosa” suona “sc mme” come lo mme dei baresi.
Mangiamo velocemente, nello stesso ristorante del primo giorno, quello delle zuppe e del tofu puzzolente.
L’unica cosa degna di nota di questo pranzo è che il tofu, questa volta, non puzza. Forse la volta scorsa era avariato?
Altra novità: Mimmo mangia poco e in fretta. Un piatto di pasta, delle specie di grosse polpette, con dentro un ripieno di carne, che costa 1 euro.
In realtà lo finisce subito e ne ordina un altro che rifinisce ancora prima. Non è soddisfatto ma dobbiamo essere in aeroporto alle 17.
Il volo è alle 19.
“La solitudine interiore” si dice “cutu” come quando in piemontese vuoi dare dello stupido a qualcuno.
Corriamo a recuperare i bagagli e poi in metro.
Alle 19 siamo in aeroporto, fieri di noi.
Il volo è alle 21.55.
“Parcheggio” suona “cce uei” come il “cosa vuoi” a Brindisi.
Vi siete persi la faccia di Mimmo quando ha scoperto che lui, ritardatario devoto, che io al confronto sono un dilettante, era arrivato in aeroporto con 5 ore di anticipo.
Non capisco il motivo di tanta delusione ma quando si calma ci spiega: avrebbe potuto mangiare qualcosa in più.
“Piangere” suona “ccu” come “chi” in calabrese.
Rispetto a 10 anni fa la qualità dell’aria è molto migliorata, nonostante il traffico sia sempre lo stesso. L’ho notato subito, appena arrivato a Zhuhai, ed è da giorni che guardo le auto. Ce ne sono tantissime elettriche. Mimmo mi spiega come riconoscerle: sono quelle con la targa verde. Anche gli scooter elettrici hanno la targa verde.
Mentre aspetto che il semaforo diventi verde, conto il numero di auto che mi passano davanti e guardo le targhe: ne passano 31 di cui 7 a combustione.
Poi conto gli scooter parcheggiati lungo il marciapiede che percorriamo dall’hotel alla fermata della metro: 4 motorini a combustione su 110
“Avere” suona “jou” come “io” a San Pancrazio salentino e “metallo” suona “tie” come “tu”.
Mi chiedo come facciano a garantire la ricarica di così tante auto elettriche dato che non ho visto stazioni di ricarica in 15 giorni.
Ce lo spiega il tassista che ci riporta a casa dall’aeroporto. Arriviamo in anticipo e lui è costretto a venirci a prendere prima di passare a ricaricare l’auto. Così, la ricarica, la fa con noi a bordo.
Ha una app che gli suggerisce le aree di ricarica più vicine, differenziandole in base alla velocità di ricarica ed al numero di postazioni libere.
Andiamo nell’area più vicina all’aeroporto e dopo 10 minuti ripartiamo. Non ha fatto il pieno (ci vogliono 40 minuti) ma ha ricaricato abbastanza per portarci a casa e poi tornare a dormire.
Il viaggio verso casa dura 40 minuti circa ed il tassista ci racconta che l’auto ha un’autonomia di 200 km in città. Lui lavora 12 ore al giorno e, in genere, va a letto alle 20.
Quando ci lascia sotto casa sono le 00.50. paghiamo 120 yuan, con lo sconto.
“Caffè” suona “cafei” come a Mesagne.
Mi sento molto meglio, dopo la dormita sul divano di un ristorante in aeroporto e quella durante il volo.
Yanzi va a letto, noi invece abbiamo un rito da consumare ed una buona abitudine da consolidare.
Prima di andare a dormire anche noi, ci aspettano 300 grammi di spaghetti aglio e olio, una bottiglia di vino e un bicchiere di “tintura imperiale” dell’abbazia benedettina di Casamari, in provincia di Frosinone. Un liquore imbevibile che Mimmo si è portato dall’Italia anni fa e che, come gradazione, fa 90 gradi: alcool puro insomma.
“Vedere” suona “can can” come il ballo.
A letto ricordo un episodio dei tempi dell’università. Avevo 20 anni ed ero in collegio a Modena, nel 1991. Una sera guardavo il telegiornale assieme ad alcuni amici e, in un servizio, venne intervistato il fisico Antonino Zichichi, una personalità nella sua materia. Eravamo 5 o 6, studenti di materie scientifiche tranne uno che studiava economia e commercio, Antonio.
Avevamo grande rispetto per il Professor Zichichi e stavamo ascoltando le sue parole quando Antonio, che era di Eboli, disse: “chill Zichichi non capisc proprio nnu cazz!” nell’incredulità generale.
A chi gli fece notare che il Professor Zichichi era presidente di non so più cosa, il nostro amico tuttologo, diede una risposta che è, ancora oggi, un faro per molti di noi, non per il riferimento al professor Zichichi, naturalmente: “cchè cce vol affà nnu presidente?
Pigli quattr strunz e a fatt nno presidente”.
Dopo le spiegazioni del tassista sono probabilmente la persona più informata in Italia sull’argomento, quindi decido:
Farò il presidente di qualcosa, qualcosa che ha a che fare con i trasporti.
Anzi farò il ministro dei trasporti.