4 gennaio 2025
Amò, it fisc.
Oggi ci spostiamo nello Yunnan, una provincia dell’estremo sud-ovest della Cina, dove è possibile trovare cittadine che sembrano essere rimaste indietro nel tempo.
Le più famose sono Lijiang e Dali ma ci sarebbero da visitare anche le risaie di Yuanyang, le praterie dello Shangrila, i monti attorno (siamo ai confini con il Tibet) e tantissime minoranze etniche della Cina.
Scegliamo di saltare Dali, la più vicina a Kunming, per motivi di tempo ma soprattutto perché abbiamo scoperto che Lijiang è il punto più vicino per raggiungere il lago Lugu dove vive il popolo Mosuo.
Questa etnia, ridotta ormai a poco più di 50.000 persone, discendenti da un popolo nomade proveniente dal Tibet, è una delle rare società matriarcali ancora esistenti sulla terra. Pare che solo i Mosuo che vivono sulla sponda del lago conservino l’antica struttura matriarcale della società.
Avevo letto di questa etnia tanti anni fa in un libro di Tiziano Terzani, di cui non ricordo il titolo, ed ero rimasto affascinato dal suo racconto e colpito dalla sua paura, ma potrei dire anche convinzione, che questo popolo sarebbe presto scomparso e che questo tipo di società si sarebbe estinta come si estinguono le specie animali i cui habitat, che ne consentono la sopravvivenza, iniziano a ridursi o ad alterarsi irreparabilmente.
Non sarà facile raggiungere le sponde del lago Lugu ma intanto andiamo nel punto più vicino. E poi Lijiang pare sia una delle città più belle dello Yunnan, meta turistica da tempo, soprattutto per quanto riguarda il turismo interno.
Viaggiamo in treno per 4 ore, su un treno che si muove ad una velocità di 160 km orari, e ci spostiamo verso Nord-ovest, ai confini con il Tibet (200 km) e non lontano dal confine col Myanmar (150 km), a 2.400 metri di quota.
La stazione dei treni di Kunming è vicinissima all’hotel e la raggiungiamo a piedi. Partiamo in anticipo. Ci sono i soliti controlli da fare, un po’ come quando si parte in aereo, e poi siamo stranieri e dobbiamo far fare la scansione dei passaporti. In genere il controllo dei passaporti ci permette di passare davanti a tutti perché siamo in una zona in cui gli unici stranieri siamo noi, ma non si sa mai.
Sono le 8.15 del mattino e, attorno alla stazione, è già un brulicare di persone e di venditori. Il profumo del cibo inebria l’aria. Nei ristoranti c’è gente che ha appena finito di mangiare il suo piatto di spaghetti in brodo.
Ieri sera, verso le 23, eravamo in giro da queste parti e c’erano tantissime persone per strada e poi bancarelle, negozi, ristoranti, moto, auto, polizia… Un mercato insomma, come a qualunque ora del giorno.
Questa mattina c’è un po’ meno folla ed alcune bancarelle stanno ancora allestendo ma molti di quelli che cucinano per strada hanno già tutto pronto.
Tofu, frittelle, dolci ripieni di petali di rose, pesce e carne arrosto, frutta ed altro ancora sono sempre disponibili su queste bancarelle, dove i venditori cucinano, preparano, lavano, vivono per strada. Due bimbi giocano per terra con le formine che usano i bimbi al mare da noi ma, al posto della sabbia, usano la brecciolina di un pezzo di marciapiede, in mezzo alle persone che si muovono in tutte le direzioni e a tutte le velocità. Siamo vicinissimi alla stazione e, come succede in tutte le stazioni del mondo, la frenesia si amplifica.
Come previsto, saltiamo la coda composta dei cinesi al gate del nostro treno, siamo gli unici stranieri. Ci controllano il passaporto e ci fanno passare.
Non c’è nemmeno bisogno di mostrare il biglietto, lo sanno che dobbiamo partire. Per acquistarlo abbiamo inserito i passaporti e qui è tutto informatizzato evidentemente.
Passato e futuro.
Yanzi ci raggiunge poco dopo.
Sul treno il solito concerto di starnuti, colpi di tosse, voci schiarite, qualcuno con problemi di catarro… E i soliti dubbi a proposito della mascherina che continuiamo a non utilizzare.
Eroi o…?
Dopo una mezz’oretta però si calmano, o forse sono io ad essermi rilassato. Ho giusto il tempo di notare l’ennesimo disturbo sonoro rappresentato da una signora che si è messa tra due carrozze e parla al telefono a voce alta, evidentemente per farsi sentire meglio.
Mimmo dice che sta raccontando del viaggio. A noi del treno, mi sa, perché attraversiamo lunghe gallerie e lei continua a parlare tranquilla. Secondo me è caduta la linea ma non se n’è accorta perché parla a macchinetta, non respira nemmeno.
Ad un tratto smette di colpo.
Sarà morta asfissiata.
Sul treno il personale passa per pulire i bagni, scopare e lavare per terra nei corridoi delle carrozze, vendere di tutto, che quelli di Ryanair sembrano dei dilettanti.
Fanno tutto tranne controllare i biglietti.
Si mettono ad inizio carrozza e ti decantano le proprietà immaginifiche del contenuto di un sacchetto di plastica che hanno in mano, poi ti fanno assaggiare quello che vendono (è tutto in mini confezioni monodose), infine passano con le confezioni grandi (con all’interno le caramelline del prodotto in questione) per vendere. E la gente acquista.
Ci fanno assaggiare una specie di yogurt solido e dolce, un frutto essiccato con un grosso seme all’interno e una “caramella” con qualche spezia.
Forse anche altro ma non ricordo più.
Arriviamo in stazione a Lijiang e seguiamo le indicazioni per l’uscita.
C’è una voce che ripete qualcosa in continuazione e pervade tutta la stazione. A questa voce, mentre percorriamo una discesa e ci infiliamo in un tunnel, si aggiunge un altoparlante e, quando siamo nei pressi del controllo passaporti, sentiamo una terza voce registrata.
Faccio un video di questo momento indimenticabile.
Tre altoparlanti ripetono, in continuazione tre concetti diversi con le voci che si accavallano perfettamente.
È un trionfo!
Tra pochi anni saranno tutti malati di disturbi dell’attenzione!
Ma forse è questo l’obiettivo?
Oppure avranno sviluppato delle mutazioni genetiche che li renderanno in grado di distinguere le voci che si accavallano.
Dei direttori d’orchestra di orchestre per altoparlanti.
“Senti quello come gracchia bene, un artista!”
Lijiang ci appare dapprima una cittadina come tante, vasta come estensione (ci vivono più di mezzo milione di abitanti) e molto attiva. Le case sono basse, non ci sono grattacieli, e la popolazione è per lo più di carnagione scura.
Sembra di essere in Perù. So che può apparire strano, dato che siamo in Asia, ma le facce delle persone del luogo, a me e Mimmo, ricordano quelle dei peruviani. Ed anche l’abbigliamento in vendita in certi negozi.
Però non parlano spagnolo.
L’orario è quello dell’uscita dalle scuole e sul pullman salgono molti ragazzi, tutti con i loro cellulari. Il biglietto, per questo pullman, che attraversa tutta la città prima di raggiungere la zona turistica, costa 2 yuan (il cambio è approssimativamente 7 yuan per 1 euro) ma ci sono pullman diretti che costano fino a 12 yuan.
L’hotel è una vecchia abitazione tipica, nella parte vecchia della città, con una corte centrale e le camere tutto attorno. Tutto di legno, molto bello. Le camere costano poco più di 20 euro a notte. La mia è al piano terra, quella di Yanzi e Mimmo al primo. Sopra c’è il terrazzo che consente una bellissima vista sui tetti della città vecchia.
Siamo all’interno di un enorme bazar dove si vende di tutto. Le persone sembrano formiche. Pranziamo in un “ristorante” che avrà non più di 5 tavoli in un angolo del bazar che affaccia sul piazzale, circondato da ristoranti simili con al centro ambulanti che preparano cibo o vendono frutta e verdura.
Tutto si svolge per strada. Tutto si svolge sotto gli occhi di tutti.
Dietro di me il tipo del ristorante sta spaccando dei pezzi di carne che poi cucinerà. Gli eventuali schizzi mi arriveranno addosso. Mi siedo di schiena e non ci penso. Prendo spaghetti con verdure e sono fortunato perché sono saltati e ci sono buone probabilità che non siano stati cotti in brodo di carne o pesce e, soprattutto, che il calore della piastra abbia ucciso tutto ciò che potrebbe, a sua volta, uccidere me.
Dopo pranzo facciamo un giro nel mercato e assaggio di tutto. Un po’ perché forse sono più rilassato dopo tanti giorni di Cina ed un po’ perché è inevitabile.
Assaggio:
– un tronco di canna da zucchero (mastichi e poi sputi il legno);
– un pezzo di zucchero grezzo che si attacca ai denti e non lo stacchi più;
– un fungo abbrustolito;
– un pezzo di carne abbrustolita;
– un dolce non dolce tipico, che piace a Yanzi;
– un altro dolce non dolce tipico, che piace pure a Mimmo;
– un pezzo di yogurt solido e dolce simile a quello del treno;
– un frutto esotico a spicchi, come l’aglio (come forma, non come sapore);
– un altro frutto esotico gelatinoso;
– un altro frutto esotico che si mangia infilando una cannuccia e tirando succo e semi, ma bisogna fare un corso prima (Mimmo ha infilato la cannuccia nel suo frutto con troppa forza e quella ha attraversato il frutto uscendo dall’altra parte per cui quel po’ di succo che c’era è finito per terra e ha buttato via tutto);
– altro che non ricordo più.
Torniamo in camera che sono oltre le 16. Sono un po’ frastornato da tutto quello che ho visto e da tutto quello che ho ingerito.
Abbiamo abbandonato l’idea di raggiungere il lago Lugu e dunque di fare visita al popolo Mosuo e forse sono anche un po’ deluso per questo.
Ma era la scelta migliore da fare.
Il lago Lugu è distante non meno di 4 ore da Lijiang e non è possibile andare e tornare in giornata.
Arriveremmo domani per poi ripartire il giorno successivo. E poi abbiamo prenotato il volo di ritorno Kunming-Zhuhai per la sera di giorno 14 e ci sarebbero ulteriori 4 ore di treno per tornare a Kunming.
Non c’è abbastanza tempo per fare ciò che ho in mente di fare: andare lì e cercare di capire.
I Mosuo parlano una lingua diversa e nemmeno Yanzi riuscirebbe a comunicare con loro. C’è bisogno di molto più tempo e io non ho voglia di fare una gita.
Ritornerò nello Yunnan.
In camera ripenso a quello che mi è successo negli ultimi giorni.
Riguardo gli appunti che ormai prendo regolarmente, sul cellulare, per non dimenticare nulla di ciò che mi sembra essenziale raccontare, ma è impossibile dire tutto.
Mi rendo conto che ho perso l’occasione per raccontare:
– del bimbo che si compra l’ostrica all’uscita da scuola a Zhuhai;
– che a Macao ti sembra di essere in Portogallo ma si guida a sinistra;
– di quella volta che Mimmo si è messo ad inveire, sul pullman, contro un signore, urlandogli in italiano, cinese e dialetto salentino parole incomprensibili a tutti tranne che a me che sono stato in grado di capirne, in verità, solo una: “accapituuu?”;
– che ci sono telecamere ovunque, ma proprio ovunque;
– che quelli che fanno i lavori più umili sembrano diversi da quelli che fanno i lavori migliori;
– che le strade sono pulitissime. Nessuno butta nulla per terra e gli addetti alle pulizie sono sempre al lavoro;
– che non vedi nessuno bere alcolici;
– nessuno fumare;
– che non ti senti mai in pericolo;
– che ci sono toilette dappertutto (spesso in edifici bellissimi);
– che ci sono lavandini in giro per le città per lavare le mani, solo lavandini, per strada, senza toilette;
– del cartello “non sputare”;
– che ho l’impressione di occupare più spazio (forse sono ingrassato o forse sono più in pace con me stesso o forse sono mediamente un pochino più piccoli loro rispetto agli umani che mi circondano nelle mia quotidianità?);
– che i camion della spazzatura mandano canzoni allegre durante il loro passaggio;
– che c’è sempre un altoparlante acceso che ti dice qualcosa.
In Cina, ma in particolar modo qui a Lijiang, incontri persone con facce incredibili che ti guardano pensando la stessa cosa di te.
Al mercato, vicino l’hotel, mi sono sorpreso a guardare una signora, anziana, ricurva su sé stessa, seduta per terra, una venditrice di non ricordo più cosa, e, ad un certo punto, ho realizzato che lei guardava me con la stessa attenzione e lo stesso stupore.
Sono passato davanti ad una vetrina in preda ad una crisi di identità e mi sono guardato per essere sicuro di me. Ancora non mi capacito di essere così strano ai loro occhi.
Facciamo un ultimo giro prima di andare a cena e ci imbattiamo in una piccola bancarella che vende cibo “particolare”. Il venditore ci spiega che si occupa personalmente di catturare le prede, infilzarle negli spiedini, condirle ed arrostirle.
Ho fatto le foto per non pensare, in futuro, di aver sognato e per poter riconoscere, una volta a casa, magari con l’aiuto di qualche entomologo bravo, il menù da museo, contemporaneamente, di scienze naturali e degli orrori.
Riusciamo a riconoscere solo:
– piccoli vermi generici;
– scorpioni, neri, grandi quanto la mia mano;
– grilli;
– cavallette;
– scolopendre;
– scarafaggi neri;
– libellule o qualcosa di simile;
– altri insetti con le ali.
“Amò, it fisc”
La voce di mio fratello. Ripete questo concetto per convincere Yanzi a non limitarsi a mettere nel proprio piatto solo le verdure, lasciando a lui tutto il pesce.
Sono divertenti nel loro equilibrio, nella lingua che si sono inventati, nella mescolanza di gesti, espressioni, sorrisi, nella complicità. E sono encomiabili nel loro tentativo di abbattere quante più barriere possibili.
Sono trascorsi 10 anni e la loro capacità di comunicare è migliorata tantissimo.
Hanno fatto passi da gigante.
Altri 10.000 anni così e inizieranno a comprendersi un minimo.
Vi farò sapere.
“Amò, it fish”
Siamo a cena.
Le casse del ristorante mandano una canzone in cinese che ci è familiare perché riprende la melodia di “Bella ciao”.
Yanzi e Mimmo hanno indicato un pesce e lo hanno condannato-salvato. Mangiano cercando di lasciare ognuno il pesce per l’altro. Io non partecipo a questo gioco. Ho lo stomaco in subbuglio, dopo il pranzo e gli assaggi di questa mattina, e ho preso un piatto doppio di riso, che condisco con salsa di soia e granella di arachidi.
E mangio con le bacchette che ormai maneggio quasi egregiamente.
Ho deciso: diventerò maestro di bacchette.