30 ricembre 2024
Siete uiguri?
Mi sveglio, mi vesto, mangio la mela e la metà di meraviglia che mi ha fatto trovare Yanzi sul tavolo per colazione e poi faccio i miei esercizi di yoga. Sono in tutto due. Uno me l’ha insegnato Mimmo e l’altro Yanzi.
Mi sento subito meglio e sono pronto per andare al parco con Mimmo per fare il resto degli esercizi, quelli che ci ha insegnato l’anziano signore il primo giorno.
Da un paio di giorni Yanzi mi fa trovare un po’ di frutta sul tavolo, per colazione. È molto accudente e premurosa, come sempre, ma ho notato che, rispetto ai primi giorni, è più rilassata e meno attenta ai miei movimenti. Sarà un caso ma credo ci sia stato un piccolo cambiamento in questo senso da quando ho tagliato la barba. Evidentemente la barba lunga mi faceva sembrare yeye anche ai suoi occhi. I primi giorni Yanzi entrava nella mia camera, prelevava le calze che avevo usato il giorno prima, me le lavava e le rimetteva in camera. Io me ne sono accorto dopo qualche giorno.
Da un paio di giorni però non succede più. Forse anche questo è legato al mio improvviso ringiovanimento.
Ha anche smesso di indicarmi piccoli gradini o rivoli d’acqua per terra quando siamo per strada. È probabile che, adesso che non ho più la barba, creda che la mia vista ed il mio equilibrio siano migliorati e non ha più paura che io inciampi o scivoli quando siamo per strada.
Mimmo e Yanzi si chiamano amò, amo, amore e altre varianti legate alla concitazione del momento. Io e Mimmo, quando scherziamo, ci parliamo in italiano e dialetto salentino, Yanzi parla con me in inglese e, a volte, cinese, con Mimmo si parlano in cinese ed inglese misti e a volte ci scappa un po’ di italiano. Mimmo cerca di imitare la cadenza cinese anche perché pare sia essenziale per la corretta pronuncia di una lingua tonale come il cinese ma, quando è su di giri per qualche motivo, il suo accento salentino prevale e ti viene da ridere anche se lui invece ti parla seriamente.
Amore: ai
Come stai? Ni hāo ma?
Mi chiamo Massimiliano: wō jiao Massimiliano
Io studio cinese: wō xuē zhōng wén
Nonno: yeye
Calamaro: yóuyú
Un poco: yi dian dian (si legge i dien dien)
Difficile: hen nan
Assonnato: kun la (si legge cúnla)
Faticoso: xing ku le (ma la x si legge s, la g non si legge e la e si legge a. Provate e vedrete che questo è uno tra i vocaboli più facili da ricordare)
Va bene: hao la
Sono pieno: pao la
Andiamo al parco. Oggi è il gran giorno e non possiamo allontanarci da casa perché Yanzi potrebbe chiamarci da un momento all’altro per dirci che è arrivata.
Il parco e le aree comuni come le piazze sono luoghi da visitare perché sono vissuti dalla gente un po’ come il salotto di casa propria e si potrebbero trascorrere ore ad osservare quello che accade.
Il parco sotto casa è perfetto per un novello antropologo come me. Qui puoi trovare, anzi sei certo di trovare, musicisti, cantanti, ballerini, fotografi e, naturalmente, ginnasti. Ma quello che succede qui lo si può osservare in tutte le piazze della Cina, a quanto pare.
C’è un signore che canta, da solo, rivolto verso il muro di un edificio. È uscito da casa portando con se amplificatore, microfono, leggio e spartiti. Poco più avanti due musicisti suonano dei sax elettronici anche loro dotati della strumentazione necessaria per fare sentire a tutti la loro musica. Hanno amplificatore, leggio e computer sul quale scorre lo spartito.
C’è una donna che canta, seduta su un muretto, da sola, accompagnandosi con un cellulare. Ha una voce altissima e bellissima. Canta pezzi di lirica e fa impressione la facilità con la quale affronta ogni acuto.
Avanziamo lentamente all’interno del parco e incontriamo dei musicisti che suonano strumenti ad una o due corde e vengono accompagnati dalla voce di un piccolo coro di donne. La musica è difficile da comprendere perché diversa da quella che siamo abituati ad ascoltare. In una terrazza con ombrelloni, tavoli e sedie, che da noi sarebbe sicuramente il dehors di un bar, si balla il tango.
E poi ci sono persone intente a fotografare piccoli uccelli, gente che corre, che fa ginnastica, qualcuno pesca nel laghetto davanti a grossi cartelli “divieto di pesca”…
I suoni si mescolano ma nessuno pare infastidito. E nessuno pare interessato al parere degli altri, non sembra esserci competizione, vergogna o paura di essere giudicati. Ognuno fa quello che sa fare e sembra farlo per puro diletto. Non sono artisti di strada, non chiedono un compenso o l’approvazione altrui, lo fanno e basta.
Anche tra chi fa ginnastica si vede di tutto. Ci sono quelli che sono in grado di fare la spaccata, si vedono posizioni innaturali ma tenute per tempi che a me paiono eterni con estrema disinvoltura e c’è qualcuno che fa esercizi molto semplici. Sono praticamente tutti anziani ma vengono tutti i giorni al parco ad esercitarsi.
Io provo vergogna perché non riesco a fare i miei due esercizi, apparentemente facilissimi.
Il primo consiste nel camminare lentamente facendo dei fermo immagine in un modo innaturale che provo a descrivere: in piedi, braccia aperte perpendicolari al corpo, testa all’indietro ed occhi, per fortuna, aperti. Si muove un primo passo tenendo una gamba dritta in avanti per pochi secondi, quindi si posa il piede interamente per terra, si inarca l’altro piede sollevando il tallone e ci si ferma per alcuni secondi. Poi si riparte e si avanza con l’altro piede e così via. Provate a farlo e ditemi se vi riesce, io rischio continuamente di cadere. Il secondo esercizio è ancora più semplice e consiste nell’ aggrapparsi ad un palo tendendo un braccio verso l’alto mentre il secondo stringe il palo all’altezza del viso. I piedi sono uno dietro l’altro con il primo piantato per terra e quello dietro con il tallone alzato in modo da favorire la spinta verso l’alto. La testa cade all’indietro. Si sta fermi in questa posizione per un po’ e poi si invertono braccia e gambe.
Sono scoordinato e tentennante ma mi faccio coraggio.
Finisco di esercitarmi e aspetto Mimmo che è appeso ad una di quelle strutture di ferro che permettono di avanzare con le mani e sollevati da terra. Chissà se avrà un nome in italiano ma spero di essermi spiegato. Poi torniamo verso casa. Siamo un po’ in ansia perché dovrebbe arrivare da un momento all’altro ed è per questo che non ci siamo allontanati questa mattina.
C’è un folto gruppo di uomini e donne, per lo più anziani, che ballano tutti i giorni in una grande area di cemento. Hanno grandi casse e fanno balli di coppia senza contatto. Mimmo mi dice che sono uiguri o comunque dello Xinjiang. Gli uiguri sono una popolazione turcofona di religione musulmana e provengono, appunto, dallo Xinjiang, una regione autonoma della Cina nordoccidentale.
Hanno sembianze un po’ più simili agli arabi, cappelli e vestiti che ricordano quelli degli arabi e ballano una musica non troppo veloce e cadenzata che immagino si possa ascoltare anche in Turchia.
Mentre avanziamo verso di loro, diretti a casa, una signora si sbraccia e ci chiede se siamo uiguri. Quando Mimmo le risponde che siamo italiani (yidali ren, persone italiane) sembra ancora più contenta e ci invita ad avvicinarci. Inizia un dialogo con Mimmo e si forma un capannello di persone attorno a noi. Sono quasi tutte donne ma si avvicinano anche degli uomini. Cercano di coinvolgere anche me ma io sono muto e osservo con un sorriso un po’ ebete, pentito di non aver portato con me il mio quaderno di italiano-cinese.
Avrei potuto almeno provare a dire “wō jiao Massimiliano” ma sono pietrificato e non ricordo neppure il mio nome.
Poi accade quello che aspettavo da dieci anni: ci chiedono di fare una foto con noi.
Non credevo che la prima foto l’avrei fatta a Zhuhai, a pochi passi da casa.
Salutiamo e ci affrettiamo verso il grattacielo. L’ascensore ci porta al 26esimo piano in pochi secondi (40 per l’esattezza). Mimmo prepara un piatto di spaghetti cinesi con verdure, molto buono (i piatti migliori, fino ad ora, li ho mangiati a casa) che mangiamo con le bacchette. Poi iniziamo a fare programmi per la notte di domani. Si potrebbe andare a Macao.
Intanto aspettiamo che arrivi…
Alle 14 circa squilla il telefono di Mimmo: è arrivata!
Ci affrettiamo al negozio sotto casa, dove si ritirano le merci ordinate online. Qui si fa tutto online. Mimmo ha con sé un codice, lo comunica al tipo del negozio che ci indica un pacco, fuori, appena arrivato. Ci aiutano ad aprire il pacco ed eccola lì, intatta, la mia valigia. Con ancora il cordino, fatto con l’elastico di una mascherina, poco prima di imbarcarla a Milano, quando mi ero reso conto che non avevo preso un lucchetto e avevo risolto con una serie di nodi alle cerniere fatti, appunto, con l’elastico.
Dai fogli appiccicati sul manico pare sia rimasta a Milano fino al 27.
Nel pomeriggio andiamo nel quartiere universitario di Jida, sul mare, che dista un’ora circa in bus. C’è il solito mercato con gente che vende di tutto. Noto in particolare una catasta di ostriche in un piccolo garage con tre persone che le aprono e le dividono in base a non so quale criterio. C’è gente che vende pesci piccolissimi. Altri sono intenti alla pulizia di pesci di varie dimensioni. Il tutto si svolge per terra. Camminiamo in mezzo agli scarti delle attività di pulizia dei vari venditori ambulanti. Lasciato il mercato percorriamo una lunga via leggermente in salita, costellata di ristoranti. Ce ne sono di minuscoli e di enormi.
Ho l’impressione che i cinesi si dividano in tre categorie: quelli che vendono cibo, quelli che lo cucinano e quelli che lo mangiano.
Noi, per fortuna, facciamo parte dell’ultimo anello di questa catena.
E infatti mangiamo.
Prima assaggio un dolce tipico del Guandong, a base di latte di cocco e mango, che sembra artificiale ed è ornato da palline, commestibili, di diversi colori. Poi, per cena, i “ma la tang”, i temibili spaghetti in brodo, impossibili da mangiare con le bacchette perché scivolano ovunque tranne che in bocca spandendo il brodo ustionante fino ai tavoli circostanti.
Ci sono delle salse per condirli e del pane grattugiato che aggiungo in abbondanza dimenticando che siamo in Cina.
Quando sei dall’altra parte del mondo e tutto è completamente diverso ed estraneo ti aggrappi a tutto, anche al pane grattugiato, che però è immancabilmente aglio.
Prima di prendere il pullman attraversiamo una piazza enorme. Ci sono gruppi di persone intente a ballare con casse che sparano musiche diverse a tutto volume.
C’è sorveglianza e l’accesso alle piazze e alle strade pedonali è limitato da cubi di cemento che impediscono l’ingresso delle auto. Mimmo mi spiega che non era così fino a poche settimane fa, quando un uomo si è infilato, con la sua auto a tutta velocità, tra la gente che ballava nell’area pedonale dello stadio di Zhuhai travolgendo centinaia di persone ed uccidendone una quarantina. La facilità con cui ha travolto così tanta gente prima di essere fermato è dovuta anche al fatto che ballavano in grandi gruppi, separati, al suono assordante delle casse e non sentivano le urla né l’auto che arrivava. Pare che il tipo avesse litigato con la moglie e questa lo avesse lasciato portando con sé il denaro che lui le aveva intestato.
Andiamo a letto.
Prendo la tazza che Yanzi mi ha consegnato il primo giorno e la riempio di acqua per la notte. Mi accorgo solo adesso che c’è una frase in inglese: If I had a single flower for every time I think about you, I could walk forever in my garden.