29 dicembre 2024

Coco e Long

Mi sveglio alle 7.
Yanzi è già in piedi dalle 5.30.
Mimmo ancora a letto.

Oggi sarà una delle giornate più significative di questa vacanza, lo so già.
L’incontro con Coco e Long, dopo tanti anni e conoscendo la sorella di Yanzi e suo marito, sarà sicuramente pieno di sorprese.
Appuntamento non prima delle 11 per venire incontro alle esigenze organizzative di noi occidentali. Fosse stato per loro questa giornata sarebbe potuta iniziare anche all’alba.
Yanzi ha preparato un dolce poco dolce, per il viaggio, che piace tanto a Coco e me ne offre un pezzo. È una specie di piccola girella farcita con una crema di patate dolci e fagioli.
Per colazione mi ritrovo un frutto che avevo conosciuto pochi anni fa e che ci portava ogni Natale Antonio, il fisioterapista che ha seguito la mamma nei suoi ultimi anni di vita rendendole l’esistenza più sopportabile: la “meraviglia”. Lui la chiama così ed era diventata un po’ il nostro simbolo del Natale. La tenevamo per settimane sul tavolo in modo che la mamma la vedesse e sorridesse alla vista di questa specie di pompelmone giallo e succoso.
Poi, finite le feste, la aprivamo con Elisa e Melissa e la mangiavamo, un po’ in ritardo, correndo il rischio che fosse un po’ secca. Ma intanto la sua funzione natalizia l’aveva svolta.
Avevo pensato alla “meraviglia” tempo fa chiedendomi se ne avrei mai più vista una e me la ritrovo a tavola a colazione il Natale successivo.

Coco e Long ci passano a prendere in Porsche Cayenne attorno alle 11.30. Long ha una guida tranquilla e rilassata. L’unico in Cina.
I cinesi guidano in maniera a dir poco scriteriata. È impossibile descrivere quello che succede nelle strade di Zhuhai, occorre venire fin qui per comprendere. Le auto cambiano corsia o si fermano dove e come gli pare, incuranti delle peripezie che faranno gli altri automobilisti per schivarle. Ma i più dissennati sono quelli che vanno in motorini, scooter, monopattini, bici e simili. Sfrecciano strombazzando ad alta velocità su strade, piste ciclabili, marciapiedi e soprattutto aree pedonali, preferibilmente contromano. Le aree pedonali pare che le prediligano particolarmente. Passano in mezzo a orde di bambini che escono da scuola, magari con due o tre figli a bordo e ti suonano ma tu non devi fermarti, non devi rallentare, non devi spostarti, devi solo continuare a muoverti alla tua andatura e sperare. Loro calcolano la tua traiettoria, analizzano il resto dei movimenti di umani, animali e motori e, mentre si guardano un film al cellulare, se sei fortunato, ti evitano e ti superano.
La cosa straordinaria è che ti evitano praticamente sempre. Almeno fino ad ora naturalmente.
Per come guidano le strade dovrebbero essere disseminate di cadaveri ma non ho ancora visto nessun incidente.
Credo che in Cina il prototipo di umano integrato nella tecnologia sia allo stato avanzato. Non è ancora stato introdotto a livello genetico probabilmente ma poco ci manca. Lo vedi nei giovani e in quelli che deambulano con sistemi motorizzati. Forse è iniziato tutto con la necessità di raccapezzarsi nel muoversi in città che sono cresciute più velocemente degli esseri umani per cui, chi guidava aveva bisogno di una guida a sua volta, di un navigatore, ma poi gli è sfuggita di mano la situazione e adesso chi guida è perfettamente in grado di farlo mentre guarda sullo schermo un film o mentre scorre le stories su WeChat o sul tik tok cinese.
La cosa sorprendente è che ti senti sicuro. Diversamente non potresti uscire da casa. E sei tanto più sicuro quanto più li vedi concentrati sul piccolo schermo invece che sullo schermo della vita reale. Fanno più paura quelli che guidano guardando la strada perché non sai a cosa stanno pensando.

Ma torniamo sulla Porsche. Ci muoviamo in direzione Doumen, un piccolo villaggio a meno di un’ora in auto da Zhuhai, che è rimasto quasi intatto, a parte la via principale che è piena di negozi e piccoli ristoranti. Durante il tragitto passiamo dalla metropoli alla campagna in pochi chilometri. La strada è costellata di allevamenti di pesci, molluschi e gamberi, serre, cave, campi coltivati, frutteti. C’è acqua ovunque. Siamo sul delta del fiume delle perle, il terzo fiume cinese per lunghezza ed il secondo per portata.
Arrivati a Doumen ci immergiamo nella via dei negozi, ci sono tanti turisti ma non c’è caos. L’attenzione dei miei accompagnatori cinesi è subito attirata da un piccolo ristorantino che serve qualcosa di tipico e mi ritrovo seduto ad un tavolo con davanti una coppa colma di una sostanza gelatinosa bianca (che per chi la conosce può ricordare la giuncata), uno dei mille modi di preparare il tofu, ed una coppetta di polpettine gialle immerse in una salsa scura.
Gli amici cinesi mangiano dalla loro coppetta con grande soddisfazione, io la assaggio e la passo a Mimmo che, per fortuna, aveva deciso di non prenderne. Mimmo capisce la situazione e non fa una piega: mangia con gusto e sembra anche sincero.
Io mi ritrovo a non poter rifiutare le polpettine e spero. Ne assaggio una: pesce. Inutile dire che gli amici sono al corrente del mio essere vegetariano da dieci anni ma il concetto e difficile da far passare. Mi spiego meglio: la mia impressione è che lontano dalla tavola il mio essere vegetariano sia compreso senza fatica ma appena ci si avvicina ad un qualunque cibo gli amici dimenticano e fanno di tutto per farmi assaggiare qualsiasi cosa. In pochi minuti mi vengono messe davanti alla bocca banane del Guandong, polpette, tofu, bacche, un contenitore con qualche decina di bucce di frutti vari essiccati tra le quali riconosco l’arancia, foglie di the e altri cibi che non riesco ad identificare.
Il tour termina nel migliore ristorante della città a detta dei nostri accompagnatori. Non stento a crederlo a giudicare dal numero di avventori. Stento invece a credere ai miei occhi quando, per puro caso, mi sposto nella viuzza da dove provengono i piatti e vedo una signora che lava le stoviglie per strada in tinozze di acqua che non posso definire limpida. La cucina è alimentata a legna (occorre venire qui a vederla per capire perché non ho mai visto niente del genere e sono stupiti anche gli amici cinesi) ed è nel mezzo della viuzza. Sul retro si vedono i cuochi affaccendati. Un concetto leggermente diverso da quello occidentale di cucina a vista che prevede locali asettici, manco le sale operatorie.
Mangiamo spaghetti di riso con verdure e un po’ di carne, riso con carne e un po’ di verdure e vongole.
È dura essere vegetariano ma si riesce abbastanza a lasciare la carne nel piatto e portare nella propria coppetta riso e pasta. Paghiamo in tutto 11.50 euro e andiamo via, sazi, in 5.

Prossima tappa il tempio buddista millenario di Jintai, un luogo inconsueto e meraviglioso che è molto difficile descrivere in poche righe. A renderlo meraviglioso, oltre all’architettura degli edifici, la natura circostante ed il contesto, sono i colori, gli odori, gli incensi che bruciano in bracieri ovunque, la gente, i monaci sempre molto defilati, i simboli, le preghiere, i movimenti a volte impercettibili altre più accentuati ed innaturali di chi prega o semplicemente si genuflette in segno di rispetto, la sofferenza di alcuni, la passione di altri, l’istinto a tirare fuori il cellulare per fotografare qualunque soggetto.

Torniamo alla macchina. Sono ancora le 16 ma potrei avere già vissuto due giornate dal punto di vista delle emozioni: una a Doumen e l’altra al tempio di Jintai. Invece ci avviamo verso le terza giornata di oggi: la cena!
Era stata annunciata sin dal mattino, per la verità, quasi una minaccia: “a cena torniamo a Zhuhai” aveva detto Long a mio fratello e aveva aggiunto che ci sarebbe stato da bere. Si torna a Zhuhai, si parcheggia l’auto, si cena e si va a casa in taxi per via del tasso di sangue nell’alcool.
Si perché qui la cena è un pretesto. Long si presenta nel ristorante con due bottiglie di grappa cinese: un Moutai prince color oro ed un’altra bottiglia nera.
A cena con noi c’è anche un amico di Long.
Agli uomini viene distribuita una piccola caraffa, da 100 ml, che viene prontamente riempita di grappa e un bicchierino da 5 ml e si inizia a brindare mentre arrivano i piatti.
“Ganbei” urla in particolare l’amico di Long e si brinda e si svuota il bicchierino prontamente.
I primi piatti ad arrivare sono gamberi, interiora di mucca, datteri (i molluschi naturalmente) e poi frittura di calamari, pollo, un piatto di verdure, uno di insalata cotta nella quale alla fine scopro che c’è anche della carne al fondo, pesce a tranci, del pane dolce e infine verdure lesse.
Gli uomini mangiano e brindano, io brindo e faccio finta di mangiare.
Decido di sacrificare i calamari che ho già mangiato qualche volta nel corso dei miei dieci anni da vegetariano infedele e poi raccatto con le mie bacchette pezzi di cipolla e peperoni dai piatti di carne e pesce sperando che gli altri non si accorgano che non prendo nulla, tanto sono impegnati in brindisi, discorsi, canti e risate. Mi sento un po’ un uccello pappagallo che pulisce i denti degli ippopotami dai parassiti. Io nel mio piccolo ripulisco i piatti da cipolla e peperoni.
I piatti di verdure non sono particolarmente attraenti mentre il pane dolce lo mangio quasi tutto. Non perché mi piaccia particolarmente ma per appoggiare la grappa su qualcosa di un po’ più solido.
Ho bisogno di far assorbire la grappa per non ubriacarmi.
Seguo il ritmo dei “ganbei” ma, su suggerimento di Mimmo, evito di svuotare sempre il bicchierino.
Gli altri se ne accorgono e un po’ evitano di coinvolgermi nei loro brindisi.
Arranco con la grappa, arranco con il cibo. Gli altri finiscono i loro 100 ml, finiscono la prima bottiglia e passano alla seconda. Io cerco di salvare il salvabile.
Alla fine mi aiutano a finire la mia brocchetta ma riesco ad uscirne a testa alta. Fosse stato un incontro di boxe le avrei prese di santa ragione per tutte le riprese ma scendendo dal ring coi miei piedi e perdendo ai punti.
Fosse stato un incontro di tennis l’avrei perso, sì, ma vincendo un game non si sa come. Fosse stato un incontro di calcio avrei segnato almeno il gol della bandiera. Fosse stato…
Usciamo dal ristorante e non sono particolarmente ubriaco. Nemmeno sazio però.
Un ultimo sguardo alle tartarughe di mare, alle anguille, ai vermi e ai tanti pesci esposti in tinozze con poca acqua all’ingresso del ristorante e si va al taxi.
Un pensiero a questi animali.
Se punti il dito contro di loro prima di entrare e andare a sederti a tavola li condanni a morte ma gli fai anche un favore.
Naturalmente the show must go on e verranno subito sostituiti da altri loro simili da condannare e graziare allo stesso tempo.

Arriviamo a casa. Yanzi va a letto. Io e Mimmo ci fermiamo a parlare in salotto. Non faremo un vero e proprio discorso tra di noi, lo sappiamo già. Ne faremo tanti, piccoli, interrotti e rimandati e parleremo più o meno di tutto e di tutti. Abbiamo troppe cose da dirci e non sapremmo da dove iniziare.
Andrò via che che non avremo detto nulla e avremo detto tutto come nei film di Totò e Peppino.
Questa sera si parla e si piange per Alberto.

A proposito, il mal di schiena é tornato. Lo tengo a freno con gli antinfiammatori ma ho deciso di aggiungere un’altra arma.
Lo yoga!
Mimmo e Yanzi mi hanno insegnato un paio di esercizi che mi faranno stare presto benissimo.
Questa mattina ho iniziato la pratica e ho deciso: diventerò maestro di yoga.