Settembre 2020

Ho gli occhi aperti da un bel po’ quando la suoneria del cellulare mi avvisa che sono le 03,10 del mattino.
Sono andato a letto tardi e non ho quasi chiuso occhio ed ora mi attende un lungo viaggio che da Novara mi porterà a Guangzhou, nella Cina meridionale.


Massimo, mio cugino nella cui casa sono ospite da un paio di giorni, si alzerà tra circa un quarto d’ora e mi accompagnerà all’aeroporto di Malpensa da dove ho un volo per Parigi alle ore 06,00 e da lì decollerò per Guangzhou alle ore 12,25.

“Finalmente rientro a casa.” – penso mentre lemme lemme mi reco in bagno.

Da quando la pandemia SARS COV 2 ha sconvolto il mondo sono rimasto bloccato tra lockdown, voli annullati, permessi e visti sospesi e sono passati ben 10 mesi dall’ultima volta che ho visto mia moglie e non vedo l’ora di riabbracciarla.

“Non preoccuparti.” – mi tranquillizza Massimo mentre ci rechiamo in garage a prendere l’auto – “In poco meno di mezz’ora saremo in aeroporto e finalmente ti toglierai dai coglioni!”
“Ma se sono il tuo cugino preferito!” – ribatto sorridendo.

Scendo dall’auto, recupero la valigia dal portabagagli, un saluto veloce e…

“Rasserenati ormai è fatta! E comunque mi fermo qui per un po’ nel caso avessi bisogno di qualcosa…”
“Ma che dici?
No, no, torna a casa a dormire. Fra poche ore devi andare in ufficio.
Ci vediamo fra un paio d’anni.”

Sono le 04,15 e l’aeroporto è praticamente vuoto.
Mi avvicino al tabellone delle partenze per individuare il banco del check in.
Non vedo il mio volo.
Guardo meglio selezionando gli orari e non ci sono voli alle ore 06,00.
Controllo le compagnie aeree e non ci sono voli China Southern Airlines.
Mi sovviene che probabilmente il volo fino a Parigi sarà effettuato da Air France.
Niente.
Non ci sono voli Air France per Parigi alle ore 06,00.

“Forse dall’altra parte dell’aeroporto ci sono i tabelloni con i voli per l’Asia.” – penso e, nel mentre, trascinandomi dietro 27 kg di valigia più lo zaino in spalla, mi reco a passo svelto al lato opposto dell’aerostazione.
“Ma non è possibile che ci siano due tabelloni diversi!!!” – ed allora cambio idea e mi avvicino al banco check in di Air France per chiedere delucidazioni alla hostess di terra.

Fortunatamente, su suggerimento di Massimo (che quindi dimostra di avere una sua inequivocabile utilità dovuta essenzialmente a tre fattori:
1) casa vicino a Malpensa;
2) cucina una buona pasta al forno;
3) ogni tanto dà consigli non richiesti ma giusti;),
ho effettuato una stampa della prenotazione del volo e quindi ho tutti i riferimenti del viaggio.

“Sai niente di un volo Air France delle 06,00 di stamattina per Parigi?”- chiede l’addetta ad una collega mentre guarda la mia prenotazione.
Attimo di silenzio, ci pensa su e poi…
“E’ stato cancellato!” – risponde.

“Cancellato???” – penso tra me e me mentre il sangue mi sale alla testa e sento la terra cedere sotto i miei piedi.
“Ma…ma io vado in Cina!” – balbetto incredulo.

La hostess effettua un rapido controllo sul terminale e conferma: “Sì, sì, è stato proprio cancellato ma non le è arrivata l’email?”

“Ma non mi è arrivata nessuna email e comunque adesso che faccio? Io devo andare in Cina! Ma l’aereo da Parigi per Guangzhou è confermato o è stato anch’esso cancellato?” – rispondo in preda ad un misto di panico, sconforto e rabbia.

Ed a questo punto occorre fare un passo indietro per poter comprendere il perché di cotanto smarrimento.

A causa della pandemia di SARS COV 2 intorno alla fine di gennaio-primi di febbraio 2020 l’Italia blocca i voli da e per la Cina.
Con il diffondersi del virus in Europa, alla fine del mese di marzo, la Cina sospende temporaneamente l’ingresso nel paese agli stranieri, anche a coloro già in possesso di visti o di permessi di soggiorno.
Nei mesi di luglio ed agosto, a seguito di una fitta serie di email interrogatorie, il consolato cinese in Italia mi conferma le restrizioni ancora in essere e mi dà delucidazioni sulle modalità da espletare per ottenere un nuovo visto d’ingresso.
In pratica dovrò, fra le varie cose (fotografie, richieste, dichiarazioni, ecc.), recarmi presso il consolato (Milano o Roma) per far acquisire le impronte digitali, effettuare un tampone per rilevare il coronavirus nelle 72 ore precedenti il volo, inviare l’esito (negativo) del tampone allo stesso consolato che provvederà a restituirmi tramite email una ‘Health Declaration Form’ vidimata (da me precedentemente compilata) da stampare e presentare all’imbarco.
Arrivato in Cina mi faranno un altro tampone e dovrò effettuare un periodo di quarantena della durata di 14 giorni presso un hotel a tale scopo adibito.
Ovviamente, per poter accedere all’aereo la temperatura corporea non dovrà superare i 37,5° C.
Insomma un bel casino!

Pensando di aver chiaro il quadro della situazione decido di non perdere tempo (i voli per il paese asiatico sono notevolmente ridotti, costosi e spesso al completo) e di acquistare un biglietto per martedì 15 settembre alle ore 06,00 da Malpensa.

Che scelta poco ponderata!

Mi trovavo a casa giù in Salento e dovevo riuscire ad incastrare tampone, referto e volo aereo per il nord.
Trovare un laboratorio (tra Puglia, Piemonte e Lombardia) che effettuasse il tampone nel fine settimana e che restituisse il referto in tempi brevi non è stato facile (in media occorrevano 48 h per l’ottenimento dell’esito) ed inoltre il consolato il sabato e la domenica è chiuso.
Solo dopo numerose telefonate sono riuscito a prenotare in Salento ben due tamponi per il sabato 12, uno al mattino ed uno al pomeriggio (nel caso ci fossero stati dei problemi al mattino).
Effettuato il tampone al mattino ho disdetto l’appuntamento del pomeriggio ed il sabato sera, non appena mi è arrivato il referto, l’ho immediatamente inviato per email al consolato ed infine, la domenica mattina, sono volato a Malpensa, dove il ritardatario Massimo è venuto a prelevarmi per portarmi nella sua casa a Novara.
Soltanto il pomeriggio di lunedì 14, e dopo lo scambio di una serie di email a causa di una mia svista nella compilazione della documentazione, ho ricevuto dal consolato la dichiarazione vidimata, con scadenza il giorno seguente, che mi consentiva di poter finalmente partire.
I tempi così ristretti avevano messo a dura prova i miei nervi ed ora, a meno di 15 ore di distanza, quando oramai pensavo di avercela fatta, vedevo allontanarsi incredibilmente l’ambìto traguardo.

Che angoscia!
E quante farfalle nello stomaco…

“Guardi si rechi presso … (parole incomprensibili) che vedranno come aiutarla.” – mi dice la prima hostess.
“Dove? Scusi…” – chiedo allarmato.
“Quell’ufficio lì in fondo vede? Lì proveranno ad aiutarla.”
“Ok, grazie.” – rispondo allontanandomi velocemente nella direzione indicata.

C’è solo un signore allo sportello e, fortunatamente, finisce in fretta.
“Prego signore dica.” – mi dice la gentile signora dall’altra parte del vetro.
“Sì, guardi, avrei avuto un volo stamane per Parigi per poi prendere la coincidenza per Guangzhou ma pare sia stato cancellato.” – rispondo consegnando la stampa della prenotazione (Massimo santo subito!).
“Solo un momento, controllo. Sì è stato cancellato ma non le è arrivata un’email?”
“No, no, non mi è arrivata nessuna email ma il volo da Parigi per Guangzhou è confermato?” – rispondo e chiedo.
“Controllo…, sì quel volo è confermato.” – mi risponde mentre alza la cornetta del telefono – “Buongiorno cara, ho qui un ‘business’ che va in Cina con scalo al ‘Charles De Gaulle’ ma il volo Air France per Parigi è stato cancellato che facciamo?
No, non ha ricevuto nessuna email.”
Parlottano tra loro per diversi minuti cercando di trovare una soluzione e poi…
“Va bene cara allora lo metto in partenza per domani pomeriggio e così abbiamo risolto…”
“Domani pomeriggio?” – penso – “Uhmmm…” – toc toc, con le due nocche della mano destra batto sul vetro richiamando la sua attenzione.
“Domani pomeriggio non è possibile perché la mia ‘Health Declaration Form’ vistata dal consolato cinese scade nella giornata odierna, domani non mi imbarcherebbero.” – spiego tirando fuori la documentazione affinché potesse prenderne visione.
Rapida occhiata e…
“No, non va bene…, sul volo di domani non è possibile per motivi burocratici.” – spiega un’addetta all’altra.
Ancora diversi minuti dopo, e dopo frenetiche ricerche in colloquio telefonico, la hostess che mi è di fronte esclama: “Perfetto, allora lo imbarco questo pomeriggio per Guangzhou con scalo a Shanghai.”
Io, ovviamente, ascoltavo tutto prestando la massima attenzione ed al pronunciare di quelle parole ribusso sul vetro, toc toc…
“Dica signore.”
“Guardi, lo scalo a Shanghai non va bene perché dovrei fare la quarantena lì, io invece devo fare la quarantena a Guangzhou.”
Questa era una mia misura precauzionale perché Shanghai e Guangzhou sono in due province differenti ed in caso di problemi legati alla pandemia, qualora il governo della Repubblica Popolare avesse deciso di chiudere i confini provinciali come era stato per l’Hubei all’inizio dell’epidemia, io sarei rimasto in albergo a mie spese per un tempo indefinito, mentre con la quarantena a Guangzhou sarei sempre potuto rientrare a casa.
Ed inoltre, finita la quarantena, avrei dovuto prendere un biglietto per Guangzhou a mie spese.
“No cara Shanghai non va bene perché deve fare la quarantena a Guangzhou, sì, va bene, ok.” – ed abbassa la cornetta.
“Ma non c’è un volo, anche comprando un altro biglietto, che mi permetta di arrivare a Parigi in tempo?” – chiedo.
“E’ quello che sto cercando, signore.” – risponde quella senza staccare lo sguardo dal monitor per poi aggiungere – “Dunque… ci sarebbe un volo Easyjet in partenza per Parigi alle 06,30 con arrivo intorno alle 08,00… solo che io non posso farle il biglietto perché quella compagnia ha soltanto la biglietteria online perciò dovrebbe provvedere autonomamente all’acquisto.” – mi dice.
“A me va benissimo. Faccio in tempo? Che ore sono scusi?” – rispondo e chiedo.
“Sono le 05,00 in punto. Veda un po’ altrimenti cercheremo altro.” – mi risponde quella.
Purtroppo il tentativo con Easyjet è andato fallito perché ormai era tardi ed i biglietti disponibili erano solo per il giorno seguente e così ci siamo ritrovati punto e a capo.
“Signore a questo punto forse proviamo a prenotarle un volo per la prossima settimana.” – dice la mia interlocutrice mentre era di nuovo al telefono con la collega – “Le andrebbe bene lunedì prossimo?”
“Ehmmm… Guardi, non saprei cosa dirle, dovrei trovare un laboratorio che mi faccia il tampone, inviare il referto al consolato che il sabato e la domenica è chiuso.
No, no, lunedì non va bene.
Dovrebbe essere possibilmente durante la settimana, un giovedì magari…”
“Lunedì non va bene perché giustamente adesso non sa quando gli prenotano il tampone.” – dice l’hostess al telefono e mette giù.

Interminabili minuti di silenzio interrotti soltanto dal rumore delle dita veloci che battono sulla tastiera.
Squilla il telefono.
Risponde.
Risata.
“Ma sai che lo stavo pensando proprio adesso?” – altra risata.
Controllo veloce sul monitor e…
“Allora signore, se per lei va bene, prende il volo delle 06,40 per Amsterdam, quindi, alle 09,00 parte per Parigi con arrivo alle 10,40 e da lì si imbarca per Guangzhou. Che faccio?” – mi chiede visibilmente soddisfatta.
“Il bagaglio in stiva va direttamente in Cina o a Parigi devo reimbarcarlo?” – chiedo a mia volta.
“Nessun problema, lo ritira direttamente in Cina.” – mi risponde.
“Perfetto allora grazie mille.” – replico estremamente sollevato – “Faccia pure la prenotazione.”

Al banco del check in c’è una hostess che mi attende e con la quale scambio due parole di cortesia nell’attesa che l’altra davanti al terminale mi faccia i biglietti ed imbarchi il bagaglio.
“C’è un problema con il biglietto.” – esclama ad un certo punto – “Non riesco a farlo per Guangzhou.”
“Fai un po’ vedere.” – dice l’altra mentre si sposta su un altro computer e, dopo poco, – “Signore ma lei ha fatto il check in online?” – mi chiede.
“No, no.” – rispondo.
Dopo un po’ mi passa il suo tablet e mi chiede di provare a fare il check in online ma la procedura si blocca di continuo e riparte dal momento iniziale.
Rinunciamo quindi al check in online.
Passano ancora diversi minuti in cui entrambe provano a risolvere la situazione ma non c’è niente da fare ed allora la hostess con la quale conversavo in precedenza mi dice che, per motivi non noti, non è possibile fare il biglietto per la Cina ma solo fino a Parigi e che una volta arrivato al Charles De Gaulle dovrò recuperare la valigia e presentarmi al banco del check in della China Southern Airlines per ottenere il biglietto ed imbarcare il bagaglio.

“Eccheccazzo!!!”

Che fare adesso?
Sono indeciso.
Se accetto rischio di arrivare in ritardo e di perdere i soldi del biglietto e di doverne comprare un altro per rientrare in Italia.
Se non accetto chissà ‘se e quando’ riuscirò a partire per rientrare a casa.

“Secondo me ce la può fare.” – dice la hostess – “Il terminal di partenza è accanto a quello di arrivo, circa 10 minuti a piedi ed io avviserò la China Southern che lei arriverà un po’ in ritardo.”

“Eccheccazzo!!!”

“Faccia il biglietto ed avvisi pure la China Southern.” – dico ed aggiungo – “Fra quanto c’è l’imbarco per Amsterdam?”
“Può già andare, ci sarò anch’io, ci vediamo di là.” – mi risponde.

Riesco a passare, non so come (probabilmente faccia tosta e simpatia), nella fila prioritaria per il controllo dei bagagli a mano e quindi mi imbarco per Amsterdam e, dopo circa un’ora di attesa, dall’Olanda decollo alla volta di Parigi.

Atterriamo intorno alle 10,45, sono tra i primi a scendere e mi reco a passo svelto a recuperare la valigia superando con noncuranza un cordolo di poliziotti.
Percepisco agitazione intorno a me e poi sento un grido.

“Ehi! Où vas tu?” (Ehi! Dove vai?)

Mi fermo e mi volto.

“E questo mò che cazzo vuole…” – penso.
“Passeport.” – mi urla.
“Ma sto arrivando dall’Olanda… Comunità Europea…” – replico fra me e me mentre torno indietro tirando fuori dalla tasca il passaporto.
Lo passa sotto lo scanner e me lo restituisce.

“Au revoir.” – mi dice.
“Au revoir.” – rispondo pensando – “Au revoir un cazzo!”

Recupero il bagaglio intorno alle 11,10 ed in poco meno di 15 minuti sono al terminal E.
Uno sguardo al tabellone e trovo il mio volo.
“Gate numero K39.”
Volto lo sguardo ed il numero più lontano credo sia il 13.
“Cazzo il K39 è lontanissimo.” – penso.
Mi precipito nella direzione dei numeri crescenti ma qualcosa non mi torna.
“S’il vous plait, le gate numéro K39?” – chiedo.
“C’est là!” mi risponde un addetto indicandomi di tornare indietro.
Richiedo ad un altro e mi indica la stessa direzione ed allora realizzo che sto sbagliando qualcosa.

“Mimmo fermati e rifletti.” – penso e continuo – “Rischi di perdere il volo proprio adesso… dunque… non devi andare al gate… hai il bagaglio e ti manca il biglietto… devi fare il check in!”
Alzo lo sguardo al tabellone ed il banco check in è il numero 3.
Corro e per fortuna è ancora aperto, sembra stiano aspettando solo me.
Controllano i documenti e la ‘Health Declaration Form’ vistata dal consolato.
Mi danno l’ok, imbarco il bagaglio e ricevo il biglietto.
Ulteriore controllo del biglietto e del nulla osta del consolato, timbro sul biglietto e posso andare all’imbarco.
Sono finalmente più sereno, ma è tardi ed a passo svelto vado, questa volta giustamente, verso il gate K39.

“Européen?” – mi chiede un poliziotto e, dopo aver appena intravisto il mio documento, mi indica di proseguire verso il varco elettronico per il controllo passaporti.
Provo e riprovo a passare il documento sullo scanner ma il varco non si apre ed allora mi volto verso quello e gli faccio capire che non funziona.
Mi fa cenno di recarmi al varco di controllo operato dagli agenti.
Passo sotto il nastro delle colonnine delimitatrici e mi presento, passaporto in mano, ad un agente.
Si scusa ma non sta lavorando ed allora devo attendere che il collega al suo fianco si liberi.

Fremo.
Non vedo l’ora di salire sull’aereo.
Immagino che l’imbarco sia già iniziato e che i primi passeggeri siano già sul velivolo.

Finalmente arriva il mio turno ed in pochi secondi sono virtualmente fuori dall’Europa.
Mi resta ancora il controllo dei bagagli a mano e poi posso recarmi al gate.
Un agente mi ferma, mi controlla il biglietto e mi mostra il percorso da seguire.
Pochi passi, ancora dei cordoli ed infine, alzo lo sguardo e…

“Cristo!!! E questo cos’è??? Ma questo è l’inferno!!!”

Davanti ai miei occhi si palesa una moltitudine urlante di persone accalcate, sudate, nervose, che attendono irrequiete di appoggiare i loro bagagli su uno dei due nastri trasportatori e di superare l’ultimo controllo.

Per mesi, a causa del coronavirus e della conseguente paura di non poter partire, avevo evitato addirittura parenti ed amici stretti ed ora mi ritrovavo catapultato, mio malgrado, in quella bolgia infernale di dantesca memoria.
La Francia, in quel periodo, viaggiava intorno ai 10.000 contagi al giorno e sebbene tutti indossassimo le mascherine, a ben notare, ognuno aveva un suo proprio stile che certamente non corrispondeva ai normali parametri di sicurezza sanitaria.

Mi metto in coda presso uno dei due nastri ed individuo un responsabile, lo chiamo e, mostrandogli il biglietto, gli dico che devo passare avanti ché il mio aereo parte fra meno di un’ora.

“Aucun problème. Il y a du temps!” (Nessun problema. C’è tempo!) – mi risponde.
Sappiamo entrambi che non è vero ma mi limito a guardarlo storto senza replicare.

Poco dopo, però, mi chiama e mi fa spostare sull’altro nastro.

Rivaluto l’Italia e gli italiani.
Malpensa e Fiumicino al confronto del principale aeroporto della capitale francese sono un modello efficiente di gestione organizzativa e tutta quella spocchia dei cugini d’oltralpe non ha alcun motivo di essere.
Magra consolazione nella situazione in cui mi trovavo.

Siamo ammassati come bestie che vanno al macello.
Il calore, il sudore, la puzza delle persone attraversano la mascherina.
Mi guardo incredulo intorno, mentre le due addette al nastro danno indicazioni su quello da mettere nel cesto: zaini, borse, cinture, pc, tablet, batterie, anelli, collane, acqua, passaporti e biglietti.

Una delle due guarda il mio biglietto, poi il passaporto e le si illuminano gli occhi.
Parla un poco italiano, è stata in Italia e le piacciono gli italiani.
Beh… Che dire?
A quel punto ho gioco facile.
Sfodero, ancora una volta, tutta la mia faccia tosta e simpatia e la convinco a farmi saltare la coda.

“Allora è vero! Dio esiste!” – contemplo.

Ma non ho fatto i conti con una signora lì vicino che non ha un debole per gli italiani e, non so come, ha capito tutto e si ribella.
Lei ha un aereo alla mia stessa ora e sta facendo la fila!

“Zoccola!” – penso mentre rivedo la mia posizione sull’esistenza di Dio.

“Mi spiace, io ci ho provato…” – mi dice amareggiata l’addetta.

La ringrazio per la gentilezza, le affido il cesto con lo zaino, la saluto e mi avvio verso il metal detector.

L’orologio al centro della hall segna le 11,50, il mio aereo decolla tra poco più di mezz’ora ed il nastro trasportatore è fermo da diversi minuti.
L’impazienza nell’aria è palpabile.
Mi muovo nervosamente su e giù per la sala passando in rassegna tutte le principali religioni, monoteiste e politeiste non fa differenza alcuna: dal Cristo Gesù al Buddha, da Allah a Manitù, da Visnù ad Odino, e non risparmiando neppure figure relativamente minori ma a me culturalmente più vicine come San Gennaro, Sant’Antonio e l’arcangelo Gabriele.

Finalmente il nastro ricomincia a muoversi e, quando dallo scanner viene fuori il mio zaino verde militare, mi precipito per afferrarlo al volo e catapultarmi al gate.

Ed invece quello si ferma nuovamente!
E una barriera di vetro mi impedisce di prendere la sacca e di correre via.

Inizio una sequela di litanìe da far impallidire persino Belzebù in persona: Gesù bambini, Cristi, Madonne e tutti i santi, ma proprio tutti, scendono in disordinata processione al già tanto affollato Charles De Gaulle!

All’uscita dallo scanner, in pratica, il bagaglio può raggiungere il passeggero oppure passare su un altro nastro e subire un ulteriore controllo (successivamente capirò che trattasi di un controllo anti esplosivo).

Non si muove nulla per alcuni minuti e poi, finalmente, lo zaino passa sul secondo nastro.
Ci sono almeno venti bagagli prima del mio ed un solo addetto al controllo di una lentezza snervante.
Il tempo è veramente stretto e quello sembra sempre più lento.

Non ho il coraggio di guardare l’ora!

Ad un certo punto arriva un altro poliziotto per dare una mano e velocizzare le operazioni.
E che accade invece?
I due cominciano a litigare fra gli sguardi allibiti di tutti noi passeggeri.

Il sangue mi sale alla testa e mi muovo verso i due per urlargli quanto sono coglioni, che la gente sta aspettando, che sto per perdere l’aereo ma, per fortuna, rinsavisco.

“Che cazzo fai Mimmo?” – dico fra me e me – “Se adesso litighi con la polizia non prendi l’aereo nemmeno per Natale!”

Mi costringo a rimanere tranquillo mentre riprendono le operazioni di controllo e quando finalmente giunge il mio turno apro il lucchetto che chiude lo zaino in modo che l’operatore possa passare le strisce reattive all’interno per poi effettuare il controllo al macchinario.
Il test dura pochi secondi e la risposta è immediata.
Non ci sono problemi, posso andare.
Afferro al volo lo zaino, la cintura, il disinfettante, il passaporto, il biglietto, gli anelli, e tutto il resto che era nel cesto, mi volto di scatto e comincio a correre all’impazzata in direzione del gate.

E’ letteralmente una corsa contro il tempo che ho ancora la speranza ma non la certezza di poter vincere.

L’area gate fortunatamente non è lontana e proprio nel momento in cui sto per avvicinarmi odo l’altoparlante annunciare il mio nome: “The last call for mister…”.

“Minchia! Sono ancora in tempo!” – mentre il cuore mi sale in gola.

Mi produco in un ulteriore scatto degno del Mennea oro olimpico ai giochi di Mosca del 1980 e sono davanti al gate K39 A.

Qui ci sono gli imbarchi di Air France e allora vedo le insegne della China Southern Airlines al K39 B e mi fiondo in quella direzione.

“Mister Carrino? Mister Carrino?” – mi urlano gli addetti al gate vedendomi correre verso di loro.
“Yes, yes.” – urlo a mia volta.

Mi corrono incontro e controllano al volo passaporto, visto e timbro sul biglietto.
E’ tutto ok!
Passo il biglietto sullo scanner, il varco elettronico si apre e mi proietta in un altro mondo fatto di luce e silenzio.

Una figura completamente vestita di bianco mi fa cenno di avvicinarmi e mi punta una pistola alla testa (è un termometro).
Mi tremano le gambe per lo sforzo, il cuore pulsa impazzito e sono completamente sudato.

“Cazzo! Vuoi vedere che adesso la temperatura è più alta di 37,5°C?” – penso un po’ impaurito.

Dopo il quinto tentativo l’operatore decide che posso andare, prende nota del mio posto a sedere e mi indica la direzione da seguire.

Con ancora tutte le mie cose in mano percorro velocemente lo stretto corridoio che mi porta al bus (con a bordo almeno tre o quattro passeggeri) e nel breve tragitto che compiamo fino ad un altro padiglione aeroportuale mi ricompongo in fretta.

Sono sei gli addetti ‘scafandrati’ in tute bianche che ci misurano, ancora una volta, la temperatura corporea e ci spruzzano del liquido igienizzante sulle mani prima di arrivare in cabina.

Il motore è già acceso da tempo mentre, stremato, mostro il biglietto alla hostess che mi guarda con sconcerto e mi fa segno di aspettare.

“Eccheccazzo!
Che ci sarà ancora che non va?” – penso.

Arriva un’altra hostess, prende il biglietto, mi guarda, sorride e mi indica che devo tornare indietro e salire sul ponte superiore.
Ero finito in economy mentre il mio posto era in business.

“Eccheccazzo!”

Torno velocemente indietro e finalmente sono sul ponte giusto.

Posto 28K.

Lo raggiungo.

Mi siedo.

Decolliamo, forse in leggero ritardo.

“Adesso o l’aereo cade prima del confine russo o, comunque vada, in Cina ci arrivo di sicuro!” – penso guardando fuori dal finestrino mentre una lacrima liberatoria, dal gusto dolce salato, lentamente mi scivola lungo il viso e spossato ma felice urlo in silenzio a mia moglie – “Yan sto arrivandoooooooooooooooo!”