Quand’ero piccolino e tu un omone,
al buio lo pregavo il buon bambino,
che mi lasciasse sempre a te vicino,
volevo sempre avere il mio campione.
E tiravamo calci ad una palla,
a piedi scalzi correvamo al mare,
di notte ti chiamavo: “Voglio bere!”,
di giorno mi insegnavi a pedalare.
Con uno sguardo ti capivo al volo,
sempre presente se chiedevo aiuto,
tu da lontano mi seguivi muto
e mi addestravi a camminare solo.
E ti bastava poco per gioire,
un piatto di legumi e il pane a fette,
il calcio, del buon vino e i tuoi compari,
la danza del bastone ed il tressette.
Poi con gli anni il viso si è invecchiato,
incerto è divenuto il tuo cammino,
io crescevo e tu tornavi piccino,
e quanto calore in quel sorriso sdentato.
E quando il male ci ha sconquassati dentro
ed hai piegato la testa sul mio petto
nessuno lo sa quanto cazzo ho pianto,
e piango ancora cancro maledetto!
I tocchi delle campane a morto
ricordano ai rimasti la lezione,
il fine ultimo, l’umana condizione,
tornare infine a concimare l’orto.
Ma mi rammento che tu sai nuotare,
che ti immergevi e poi tornavi a galla,
e fra le lacrime ti penso e mi consolo,
non sei più un bruco Babbo… Sei una Farfalla!!!